Sandro, un misintese vittima dimenticata della guerra

 MISINTO – Anche se il suo nome non è mai comparso negli elenchi ufficiali dei “caduti” in guerra, c'è un misintese che ha certamente titolo per essere considerato una vittima, per di più come militare dell'Esercito Italiano, dell'ultimo grande conflitto bellico. Una guerra alla quale fu chiamato a partecipare nonostante fossero già arruolati i due fratelli maggiori e lui rappresentasse l'unico sostegno per gli anziani genitori, una guerra dalla quale fece rientro in condizioni psichiche devastate, tanto da imporne il ricovero in manicomio fino alla fine dei suoi giorni. E' la storia amara di Sandro Monti, ricostruita con passione ed affetto dalla nipote Giuseppina. Nato il 22 ottobre del 1922, dopo i fratelli Enrico e Luigi, già a scuola aveva mostrato un’intelligenza vivace e curiosa. A quei tempi la possibilità che un figlio di contadini studiasse dopo la scuola dell’obbligo non veniva nemmeno lontanamente presa in considerazione, così anche lui era destinato a seguire il percorso già aveva tracciato da chi l’aveva preceduto: il lavoro nei campi o alla cava. Ma la scoperta della lettura aveva aperto davanti a lui un mondo più vasto ed appassionante; raccontano dei libri che lui leggeva avidamente sul carro, mentre il cavallo lo “portava” alla cava, sul percorso che ormai l’animale conosceva a memoria. Amava recitare e veder recitare ed era molto appassionato anche per l’opera, tanto che era riuscito più volte ad assistere agli spettacoli alla Scala o nei teatri di Milano, grazie a qualche conoscente. Fu richiamato in guerra, nonostante fosse rimasto l’unico sostentamento degli anziani genitori in seguito al richiamo dei due figli maggiori. Forse un atto punitivo per l’appartenenza politica della famiglia, di fede socialista.

Delle sofferenze patite in guerra e del tempo trascorso sotto le armi racconterà molto poco; in una lettera ai genitori parla di un incontro causale col fratello Luigi, avvenuto in Francia.

Il Sandro che tornerà dalla guerra non sarà la stessa persona che era prima di partire; i suoi racconti saranno molto lacunosi. Dopo Era solo l’ombra del Sandro che tutti conoscevano: diffidente, ombroso, suscettibile, a volte verbalmente minaccioso. Comincerà a manifestare i sintomi di un profondo disagio mentale, di quello che solo molto più tardi verrà definito Ptsd, cioè disturbo post-traumatico da stress; allora non c’erano terapie riabilitative, ma solo la prospettiva del ricovero in ospedale psichiatrico, dell’elettroshock, a cui lui stesso fu sottoposto, o di altre terapie aggressive. Il fratello Enrico, che in qualità di sindaco sentiva molto la pressione dell’opinione pubblica, in seguito alle segnalazioni di alcuni compaesani che si lamentavano, fu costretto ad avanzare la richiesta di ricovero coatto.

Sandro fu dapprima ricoverato a S. Colombano al Lambro; considerando la condizione dei trasporti pubblici di allora, raggiungere l’ospedale psichiatrico per visitarlo era un’impresa tutt’altro che semplice. Andò meglio quando fu trasferito a Limbiate, presso l’ospedale di Mombello.

Alla fine Sandro è ritornato per sempre a casa dopo essere stato internato per quasi sessant’anni nell’ospedale di Limbiate: dal dicembre del 2004 riposa nel cimitero di Misinto, anche se, secondo il regolamento comunale, è stato applicato al suo loculo la tariffa dei non residenti, pari al doppio di quella normale. Ma lui non aveva mai scelto di vivere altrove, così come non aveva mai scelto di essere mandato in guerra. Nemmeno nell’ultima fase della sua esistenza gli è stato riconosciuto di aver dato al paese più di quanto questo abbia dato a lui.

“Tutti noi -è la conclusione amara della nipote Giuseppina- dobbiamo qualcosa a persone come Sandro, la cui giovinezza è stata distrutta in nomi di ideali stabiliti da altri, uomini che non vengono considerati eroi, ma che sono stati sacrificati perché altri forse apparissero come tali”.

 

Pubblicato il 21.6.2013